

La forma italiana si unisce alla sostanza britannica: il copione dell’atto in scena in quel di Cernobbio è di quelli già noti, ma non per questo meno banale, lasciando a bocca aperta i presenti di fronte a questo ennesimo capolavoro frutto della collaborazione Aston Martin-Zagato
Fermiamoci un secondo: prendiamo in mano un bicchiere di qualcosa, quello che più ci va, rilassiamoci un secondo sulla nostra poltrona e cerchiamo di pensare seriamente a cos’è oggi, per noi, il mondo delle auto da sogno. Negli occhi di molti scorreranno di sicuro tante di quelle istantanee da perdere la testa, da quella 458 rossa desiderata quanto la Ratajkowski di turno, alle fiammate in Aventador per le strade di Monaco, alle sgommate in GT-R lasciando il solito Cars & Coffee: se è questo che vi viene in mente, potete anche smettere di leggere, perché il mondo che stiamo per ricordare non ha nulla a che fare con tutto ciò.
Ostentazione, volgarità, tracotanza immotivata. Questo il mondo dei sogni di tanti, dove anche ciò che dovrebbe rappresentare l’apice della cultura automobilistica si trasforma in omologazione e banalità, mero strumento di affermazione del proprio ego insicuro. Aumentano i volumi produttivi, diminuisce il gusto degli acquirenti, muore l’esclusività, e con esso il sogno stesso, perché sogno più non è. In questo nuovo mondo, necessario e ineluttabile, specchio del nuovo “essere ricchi”, esistono però ancora dei barlumi di luce, tenui e fiochi, quasi impercettibili, ma per questo ancora più preziosi: realtà in cui l’auto è vissuta ancora come un valore all’insegna della bellezza e del modo, in cui è ancora affare da gentiluomini e non da bomber, realtà in cui l’esclusività si misura con l’eleganza prima che col prezzo. Ovviamente, come avrete ampiamente intuito da questo invettivo preambolo, Zagato è una di queste.
L’arte dei carrozzieri, punta di diamante e simbolo assoluto dell’eleganza italiana in tutto il mondo, è ormai destinata lentamente alla morte. I favolosi anni ’50 sono ormai lontani, e l’era delle “fuoriserie” vere e proprie è finita da tempo: tanti i caduti, tante le firme finite nel dimenticatoio, come Vignale e Ghia, tanto per citarne qualcuna. Ed è proprio per questo che il lavoro di realtà come Touring Superleggera e Zagato assume una rilevanza così importante: la conservazione di un modo di fare che non vuole morire, che non deve morire, simbolo di una delle eccellenze massime del Made in Italy, l’eccellenza di chi vuole battere i passaruota ancora a mano, con calma e passione, perché è così che vanno fatte le cose per farle davvero bene.
L’Aston Martin Vanquish Zagato Concept è figlia di questo mondo, e il suo V12 respira la stessa passione di chi ha saputo sapientemente modellare le sue forme tese ma mai aggressive, eleganti e sinuose come la migliore tradizione italiana ci insegna. Un matrimonio duraturo e prolifico quello tra la casa di Gaydon e l’ateliér milanese, cominciato nel lontano 1960 con la nascita della superba Aston Martin DB4 GT- Zagato, una delle forme più pure fuoriuscite dal tratto della matita dell’insuperabile Ercole Spada, e continuato con reciproco interesse fino ad oggi, con la speranza di poter godere ancora a lungo dei frutti di questo amore italo-anglosassone.
E quale abito migliore per poter avvolgere per l’ultima volta la possanza del vecchio V12 aspirato da 6.0 litri, portato per l’occasione a sprigionare la bellezza di 592 cv rotondi, canto del cigno di un motore che ha scritto la storia recente della casa e che meritava assolutamente un adeguato saluto prima di lasciare la strada al futuro della nuova unità turbocompressa. Per il resto, un trionfo di carbonio all’insegna della sportività e della leggerezza, come il pedigree agonistico Zagato impone, unito ad una cura per il dettaglio assolutamente maniacale, come il motivo tipico della Z del costruttore impresso sulla pelle anilina dei rivestimenti e a costituire l’intreccio della vorace presa d’aria anteriore, capace di inglobare al suo interno anche il profilo dei led di posizione circolari. Il tutto senza dimenticare le firme tipiche della casa, come la muscolosa coda tronca, il mitico profilo “double-bubble” del tetto e l’elegantissimo taglio dei vetri laterali sul posteriore.
Un trionfo di stile, bellezza e ricercatezza, simbolo di un universo automobilistico aristocratico ed elitario che non vuole morire tanto meno confondersi nella grossolanità contemporanea: e quale location migliore per la presentazione se non il Concorso d’eleganza Villa d’Este, a Cernobbio, tra gli sguardi ammirati e compiacenti dei presenti.
Non ci resta che aspettare la versione definitiva su strada, augurandoci che questa storia sia dura a morire.